In questi soleggiati giorni di inverno, quando arriva la sera, l’aria si fa più fredda e pungente. Spesso, con il buio, arriva anche un leggero vento: spira lento, silenzioso e ha il sapore del gelo.
Ci si stringe allora, per stare bene, in ciò che ci fa sentire più caldi: un morbido piumone, un’avvolgente coperta, un caldo abbraccio. Tutto, così, sembra rassicurante in questi ultimi giorni dell’anno, eppure, lontano dalle nostre calde case, sembra che lo scandire ordinato del tempo non esista e c’è un bambino, lontano da noi e dai nostri pensieri, che per il freddo muore. Anzi, intorno a noi ci sono molti bambini che muoiono, come anche uomini e donne che si lasciano morire insieme ai loro sogni, in spazi pieni di disperate solitudini, al gelo dei nostri pensieri lontani.
Il mondo si dovrebbe fermare davanti a tanta disumanità, chiedersi dove sta andando, cercare di capire come sia possibile che una cosa del genere avvenga così, creata dalle azioni di altri uomini…
Il mondo sono io, sei tu, sono i nostri vicini, i colleghi del lavoro, i familiari, la gente che incontriamo per strada…perchè siamo tutti così distaccati? dove sono finiti i nostri sentimenti ? dove sono Umanità e Fraterenità?
Umanità e Fraternità: in un passato antico, come recente, si è combattuto, vissuto, sognato urlando queste parole, ma forse oggi abbiamo dimenticato troppo facilmente il loro significato, sacrificandole all’altare del benessere individuale, del caldo amore delle cose vicine… dovremmo riscoprirle, ricordarci di tenerle vive come un fuoco che scalda, per sopravvivere a noi stessi uomini e ai nostri egoistici desideri.
Mentre ci si affanna per preparare il cenone che ci porterà al nuovo anno, mi viene in mente un quadro di Francisco Goya y Lucientes, che è incluso nella collezione del Museo del Louvre ed é una natura morta.
Il dipinto mostra la carcassa di un agnello, disposta a pezzi su un piano di legno neutro, con uno sfondo nero non decorato.
Se si guarda meglio il quadro, si nota che i reni, destinati a diventare rognoni, sono ancora legati alla carne; il pelo, rappresentato da tante linee gialle e sottili, è ancora presente sul capo dell’animale, mentre ai due quarti, come é evidenziato da una spessa linea biancastra, non è ancora stata tolta la pelle.
Questo agnello a pezzi, che nessuno ha scuoiato, non è un cibo per la tavola, ma semplicemente un cadavere mutilato.
Goya mette sotto i nostri occhi la crudeltà della morte: in quell’agnello, da sempre simbolo di un sacrificio, si rappresenta qualcosa che va oltre la carcassa di un animale, si rappresenta l’umanitá.
Per comprendere interamente lo spirito che animava il pittore nella creazione di quest’opera, dobbiamo ricordare brevemente alcuni passaggi della sua vita.
Francisco Goya y Lucientes, dopo anni di incessante lavoro, divenne uno dei più famosi e richiesti pittori nella Spagna della fine del XVIII secolo , le sue prestigiose commesse andavano da ritratti per la famiglia reale a opere di carattere religioso. All’età di 46 anni, quando la sua carriera era più che affermata, si ammalò gravemente, probabilmente di malaria; riuscì a sopravvivere alla malattia, ma il suo fisico subí gravi conseguenze: perse l’udito e un continuo ronzio nella testa accompagnò da allora ogni giorno della sua vita.
Dopo la malattia il suo modo di dipingere cambió, cominció a esplorare, tramite immaginini oniriche e cupe, il lato oscuro dell’umanità; la sua divenne una rappresentazione sempre più disillusa e amara della realtà.
La natura morta, oggi esposta al Louvre, fu realizzata proprio in quegli anni e la sua realizzazione probabilmente fu influenzata da quanto successe il 3 maggio 1808, giorno in cui le truppe di Gioacchino Murat fucilarono senza processo gli spagnoli che si opponevano al dominio di Napoleone. In quel giorno fu ucciso anche quel senso di giustizia e libertá, in cui tanti, a cominciare da Francisco, credevano. La scena fu rappresentata dallo stesso Goya in un celebre dipinto Le Esecuzioni Capitali, oggi conservato al Prado.
Mentre nella grande tela delle Esecuzioni Capitali si respira la drammaticità eroica di una morte crudele, nella natura morta si racchiude una disperazione piú profonda, legata all’orrore e all’impotenza delle vittime: questa sensazione si sublima nella pozza di sangue dove Goya pone il suo nome e nella sottile riga bianca dell’occhio dell’agnello, che il pittore traccia come a far baluginare una lacrima.
Cupi e sanguinari, i dipinti dell’ultima parte della vita del Goya ci mostrano che i mostri sono ovunque: si annidano in ogni uomo, tramite le sue azioni prendono forma e concretezza. Non c’é peró solo orrore in queste tele, anzi, il valore più grande di queste opere probabilmente sta proprio nel fatto che ci fanno prendere coscienza del nostro lato oscuro e, sublimandolo, smettono di farcene avere paura, perchè, se lo conosciamo, possiamo contrastarlo.
In una delle sue più celebri incisioni Goya aveva scritto El sueno de la razon produce monstruos. Il termine sueno ha una doppia valenza in spagnolo: può indicare tanto il sonno, per cui: il sonno/ il tacere della ragione produce mostri; quanto può anche indicare il sogno, per cui: il sogno/ l’ambizione della mente produce mostri.
Il 2024 tra qualche ora volge al termine, tanti di noi preparano una lista di buoni propositi per l’anno che arriva; nella mia c’è il desiderio di non essere cieca di fronte alla realtà, di esserne cosciente e consapevole, per poter decidere sempre chi voglio essere. C’è il desiderio di riappropriarmi di quella Fraternità e Umanità che spero, a partire da piccoli gesti, mi possano aiutare a costruire un mondo migliore.
Non c’é nulla di troppo lontano su cui non possiamo influire. Non c’è nulla che dovrebbe lasciarci indifferenti, di fronte al quale chiudere gli occhi. Infondo bisogna semplicemente guardare in faccia i mostri, avere il coraggio di andare al di là di ciò che solo si ama e in cui ci rifugiamo, convinti di dover lottare solo per quello.
Auguro a me, come a voi, di essere come quel piccolo cane nero dipinto da Francisco Goya: é sommerso dalla terra, ma non sprofonda in essa, tira su la testa e guarda con tenace e serena speranza verso il domani.
Buon 2025 a tutti voi.
Vi auguriamo di andare sempre al di là dell’amore.
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Immagine di copertina, Perro semihundido, è un dipinto a olio su muro trasportato su tela realizzato da Francisco Goya nel 1820-1821 e conservato al Museo del Prado di Madrid. Appartiene alla serie delle Pitture nere.